Disturbi alimentari

Con “disturbi alimentari” ci si riferisce a un comportamento di eccessiva o insufficiente assunzione di cibo, tale da provocare danni alla salute fisica o mentale.
Altri termini per indicare i disturbi alimentari sono: DCA – Disturbo del comportamento alimentare, e DAP – Disturbo Alimentare Psicogeno.

I disturbi alimentari vanno trattati come vere e proprie malattie. Costituiscono infatti la prima causa di morte in ambito psichiatrico.
I più comuni disturbi alimentari sono l’anoressia nervosa, la bulimia e il binge eating (abbuffate compulsive) Diffusi soprattutto all’interno della popolazione femminile, questi problemi riguardano quasi esclusivamente il mondo occidentale.

L’insorgere dei disturbi alimentari è spesso molto insidioso. Quasi sempre si comincia con una dieta mirata solo a perdere qualche chilo. Poi, poco a poco, il comportamento disfunzionale prende il sopravvento e diventa un’abitudine patologica.

Ruolo determinante nella nascita dei disturbi alimentari lo hanno gli eventi stressanti. Esiste infatti sempre un fattore precipitante che dà il via al problema.
I disturbi alimentari insorgono per lo più dopo un insuccesso scolastico, una separazione dalla famiglia, un incidente o la morte di un familiare, il nascere di un conflitto con una persona significativa. Il peso degli eventi stressanti nella genesi dei disturbi alimentari si riduce tuttavia nel corso delle ricadute successive.

Caratteristiche tipiche della personalità delle persone affette da disturbi alimentari sono il perfezionismo clinico (ci si giudica secondo standard di successo molto rigidi), una bassa autostima, una intolleranza alle emozioni (rabbia, dolore, paura, tristezza, ansia, ecc.) e la presenza di difficoltà interpersonali (tensioni familiari, tensione in ambienti sociali, traumi relazionali passati ecc.)

La psicoterapia per i disturbi alimentari è imperniata prima di tutto sulla motivazione del paziente a guarire, senza la quale non esiste possibilità di successo.
Il lavoro terapeutico si sposta quindi sulla costruzione di risorse che permettano di comprendere le proprie dinamiche interne disfunzionali e di tollerare meglio le emozioni.
Infine (ma nella pratica clinica questi momenti terapeutici spesso si sovrappongono) sulla elaborazione dei fattori predisponenti, di quelli scatenanti e di quelli perpetuanti il problema.

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